Trattamento antivarroa: metodi, efficacia e controindicazioni Trattamento antivarroa: metodi, efficacia e controindicazioni © Jacopo Werther / mod. Carlo Taccari
RICERCA 01 Dicembre 2016

Trattamento antivarroa: metodi, efficacia e controindicazioni

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Oggi incontriamo Riccardo Cabbri, dottorando presso il Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Riccardo ha iniziato a lavorare con le api 5 anni fa al CREA-API di Bologna per svolgere la tesi di laurea. Non aveva mai avuto contatti con questi animali, ma l'incontro è stato folgorante e non è più riuscito ad allontanarsene tanto che oggi è dottorando, tecnico per l’associazione “Le nostre api” di Bologna e apicoltore hobbista.

Al CREA lavorava principalmente sull’acaro Varroa e sul microsporidio Nosema ceranae e in maniera più specifica sui metodi di controllo per queste due malattie. Ha da poco iniziato un dottorato di ricerca con un progetto mirato a trovare marcatori dello stato di salute delle colonie.

Riccardo Cabbri nel corso del monitoraggio delle arnie in Calabria ©Riccardo Cabbri

Riccardo Cabbri nel corso del monitoraggio delle arnie in Calabria ©Riccardo Cabbri

Cosa ci puoi dire sui trattamenti antivarroa?

Come hai evidenziato nel tuo contributo sul ciclo biologico di Varroa destructor, l’infestazione causa la morte delle colonie nel giro di un paio d'anni in assenza di trattamenti. Per evitare ciò, qui in Italia, si rende necessario il ricorso ad almeno due trattamenti l'anno: uno nel periodo estivo e uno nel periodo invernale. Il trattamento invernale riduce l'infestazione all'inizio della stagione produttiva in modo da non raggiungere la soglia di collasso prima del successivo intervento estivo. Il trattamento estivo invece ha l'importantissima finalità di ridurre l'infestazione in modo tale da consentire la produzione di api invernali "di qualità", ricche di riserve energetiche e quindi ad elevata longevità.

Questo è quello che fanno gli apicoltori più "virtuosi", non mancano però i casi di apicoltori che trattano quasi continuamente, facendo trattamenti di controllo al trattamento principale e poi controlli del controllo...e cosi via!

Ci sono due strade per effettuare i trattamenti acaricidi: la via biologica e la via con la chimica di sintesi. I farmaci a base di molecole di sintesi registrati in Italia sono a base di Amitraz e Tau-Fluvalinate ed entrambi agiscono per contatto, si somministrano infatti sotto forma di strisce impregnate da infilare in mezzo ai telaini.

Come regola generale bisogna considerare che il numero di alveari/uomo gestibili con farmaci naturali è di 300-350, sopra questi numeri sicuramente vengono utilizzate molecole di sintesi ed essendo molto costose spesso vengono affiancate da una certa quota di fai da te.

Dott. Riccardo Cabbri durante l'ispezione di un telaino © Riccardo Cabbri

Dott. Riccardo Cabbri durante l'ispezione di un telaino © Riccardo Cabbri

In Italia quindi si usano queste due molecole chimiche di sintesi, ma ci sono dati sulla loro efficacia?

I dati sull'efficacia, successivi alla prima registrazione di queste molecole, e parliamo di fine '80 per il fluvalinate e metà '90 per l'amitraz, sono molto scarsi e frammentati, verosimilmente nei cassetti delle stesse case che li producono.

La percezione è che la loro efficacia sia estremamente variabile, a seconda se gli acari su cui vanno ad agire siano stati esposti in passato alla medesima molecola e siano quindi stati selezionati come resistenti o meno.

La mia esperienza mi porta a dire che utilizzando questo tipo di farmaci si deve tenere in conto una certa percentuale di mortalità delle famiglie.

 

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E come vanno invece i farmaci ammessi in apicoltura biologica?

I farmaci ammessi in apicoltura biologica sono tutti di origine naturale. In Italia abbiamo farmaci registrati a base di Timolo (in alcune preparazioni addizionato con Mentolo, Eucaliptolo e Canfora), Acido Ossalico e Acido Formico.

Il timolo ha conosciuto una certa diffusione, fino al 2010 circa, come trattamento estivo. Successivamente la perdita di efficacia, ancora rimasta senza spiegazione scientifica considerata l’assenza di prove sulla farmacoresistenza, lo ha fatto via via abbandonare.

L'acido formico viene venduto in matrici gel per mitigare la sua tendenza ad evaporare violentemente, risultato che però non viene ottenuto. L'efficacia è anche in questo caso abbastanza incostante, e quando buona si accompagna sempre ad una scarsa tollerabilità

L’acido formico è usato con successo in tutto il centro e nord Europa. Purtroppo qui da noi, in estate, si caratterizza per il fatto di essere un farmaco poco maneggevole.

Ultimo ma non meno importante l'acido ossalico. Si caratterizza per la sua elevatissima efficacia acaricida (>95%), scarsa o nulla tendenza a lasciare residui nei prodotti dell'alveare e aspetto di non poca importanza, una grande economicità. Il suo unico problema è di funzionare molto bene solo su acari foretici, quindi in totale assenza di covata. Per questo motivo è stato relegato a trattamento invernale per parecchi anni, fino alla comparsa di biotecniche per l'induzione dell'assenza di covata anche in stagione attiva.
 

 

 

Quali sono le tecniche per ottenere l’assenza di covata?

Le due biotecniche principali per ottenere l’assenza di covata sono il blocco di covata e l’asportazione di covata.

Il blocco consiste nel confinare la regina in una apposita gabbietta per 25 giorni, fino a che tutta la covata all'interno dell'alveare non sia sfarfallata.

L'asportazione invece è parecchio più traumatica e si applica separando immediatamente le api dalla covata e mettendole in due arnie diverse.

Si trattano le api senza covata subito, mentre si attendono 25 giorni per trattare la famiglia neoformata a partire dai favi di covata. Vista la sua efficacia e tollerabilità, il trattamento con acido ossalico abbinato a blocco di covata è sicuramente il trattamento di elezione per l'estate.

 

Trattamento con acido ossalico abbinato a blocco di covata è sicuramente il trattamento di elezione per l’estate @rccabbriclicca per twittare

 

Tornando quindi ai farmaci di sintesi e quelli naturali, ci sono dati sui loro effetti a lungo termine?

Riguardo le conseguenze, bisogna sempre ricordare che si tratta di farmaci e non di placebo, che possono quindi persistere e contaminare l’alveare in tutte le sue parti. Questi sono gli effetti negativi di alcune molecole usate in apicoltura:

  • Tau-fluvalinate: regine esposte ad elevate dosi sono più piccole (Haarmann et al., 2002), i fuchi esposti durante lo sviluppo invece arrivano meno facilmente alla maturità sessuale e se lo fanno hanno comunque un peso ridotto e meno spermatozoi (Rinderer et al., 1999).
  • Coumaphos: non è registrato in Italia ma viene comunque utilizzato in preparazioni casalinghe. Anch'esso ha effetti negativi soprattutto sulla casta riproduttiva con regine più piccole e con mortalità più elevata (Haarmann et al., 2002; Collins et al., 2004) e con sperma dei fuchi meno vitale.
  • Amitraz: agonista del sistema octopaminergico, influenza il comportamento delle api. Somministrato per via orale provoca foraggiamento precoce (Schulz and Robinson, 2001) e un disturbo dei normali sistemi di comunicazione, portando ad una sovrastima del valore di una fonte nettarifera, comunicata dalla bottinatrice di ritorno (Barron et al., 2007).
  • Acido formico: riduce la longevità delle operaie (Underwood and Currie, 2003) e ha un effetto negativo sulla covata, soprattutto quella non opercolata (Fries, 1991).
  • Acido ossalico: è stata riscontrata morte cellulare negli intestini di api che si sono nutrite della soluzione contenente zucchero e acido ossalico (Gregorc and Smodisskerl, 2007). Le api di solito non consumano la soluzione a fini trofici, ma si contaminano ugualmente nel tentativo di eliminare la soluzione dall’alveare con il loro istinto igienico.
  • Timolo: Oltre al ben noto aumento della tendenza al saccheggio, numerosi autori hanno riscontrato un aumento della mortalità della covata aperta.

Un recente lavoro di Alayrangues et al., (2013) ha inoltre evidenziato importanti effetti a lungo termine sul comportamento delle bottinatrici: le api di alveari trattati a settembre con timolo, mostrano un ridotto comportamento fototattico rispetto alle api di alveari di controllo nella successiva primavera.

Api operaie al lavoro su un foglio cereo © Carlo Taccari

Api operaie al lavoro su un foglio cereo © Carlo Taccari

Vorrei concludere sensibilizzando i lettori sul tema della contaminazione della cera, sottolineando l'importanza di scegliere fogli cerei da fonti sicure. A tal proposito, Wu e colleghi nel 2011 hanno pubblicato uno studio in cui hanno messo a confronto una serie di parametri di api cresciute su favi "puliti" e favi contaminati da diversi pesticidi, tra cui gli acaricidi usati dagli apicoltori la facevano da padrone. I risultati hanno evidenziato che i favi contaminati provocavano uno sviluppo ritardato, concedendo quindi più tempo all’acaro Varroa per riprodursi; la longevità era ridotta di 4 giorni negli adulti sfarfallati da favi contaminati, parametro molto importante perché la popolosità della colonia è data in massima parte dalla longevità delle operaie e non dalla capacità deponente della regina. Infine, le molecole migravano dai favi contaminati a quelli "puliti" producendo maggiore mortalità e ridotta longevità anche nelle api sfarfallate da questi ultimi.

Ringraziando Riccardo per il suo importante contributo, invitiamo tutti gli apicoltori a usare le molecole dei trattamenti secondo le modalità indicate e non secondo le proprie convinzioni, perché la scienza è fatta sì di osservazioni ma anche di analisi dei dati.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Haarmann T., Spivak M., Weaver D., Weaver B., Glenn T. (2002) Effects of fluvalinate and coumaphos on queen honey bees (Hymenoptera: Apidae) in two commercial queen rearing operations, J. Econ. Entomol. 95, 28–35.
  • Rinderer T.E., De Guzman L.I., Lancaster V.A., Delatte G.T., Stelzer J.A. (1999) Varroa in the mating yard: I. The effects of Varroa jacobsoni and Apistan (R) on drone honey bees, Am.. Bee J. 139, 134–139.
  • Collins A.M., Pettis J.S., Wilbanks R., Feldlaufer M.F. (2004) Performance of honey bee (Apis mellifera) queens reared in beeswax cells impregnated with coumaphos, J. Apic. Res. 43, 128–134.
  • Schulz D.J., Robinson G.E. (2001) Octopamine influences division of labor in honey bee colonies, J. Compar. Physiol. A 187, 53–61.
  • Barron A.B., Maleszka R., Vander Meer R.K., Robinson G.E. (2007) Octopamine modulates honey bee dance behavior, Proc. Natl. Acad. Sci. USA 104, 1703–1707.
  • Underwood R., Currie R. (2003) The effects of temperature and dose of formic acid on treatment efficacy against Varroadestructor (Acari: Varroidae), a parasite of Apis mellifera (Hymenoptera: Apidae), Exp. Appl. Acarol. 29, 303–313.
  • Fries I. (1991) Treatment of sealed honey bee brood with formic acid for control of Varroa jacobsoni, Am. Bee J. 131, 313–314.
  • Gregorc A., Smodisskerl M.I. (2007) Toxicological and immunohistochemical testing of honeybees after oxalic acid and rotenone treatments, Apidologie 38, 296–305.
  • Wu, Judy Y., Carol M. Anelli, and Walter S. Sheppard. "Sub-lethal effects of pesticide residues in brood comb on worker honey bee (Apis mellifera) development and longevity." PloS one 6.2 (2011): e14720.

 

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Ultima modifica il 12 Novembre 2018
Serena Cavallero

Nata a Terni nel 1982, laureata nel 2008 in Biologia Cellulare Applicata, dottore di ricerca in Sanità Pubblica nel 2012. Assegnista di ricerca presso la sezione di Parassitologia del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive della Sapienza, si occupa per "BUONO" degli aspetti inerenti la ricerca e l’educazione.

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