Adattamenti estremi: le api del vulcano Masaya Adattamenti estremi: le api del vulcano Masaya © Web
RICERCA 16 Febbraio 2017

Adattamenti estremi: le api del vulcano Masaya

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Pochi posti in natura sanno essere inospitali quanto un vulcano attivo, eppure quel vulcano è la casa di una colonia di api che ha imparato a sopravvivere al suo interno per scappare dall’uomo.

Se potessi volare ovunque come un’ape non so dove deciderei di andare a vivere, ma probabilmente il pensiero di fondare una colonia all’interno di un vulcano attivo non mi passerebbe per la testa. La natura sa superare l’immaginazione e Anthophora squammulosa ne è la dimostrazione.

Una femmina di A. squammulosa fuori dalla sua tana di lava vulcanica © H. Erenler

Una femmina di A. squammulosa fuori dalla sua tana di lava vulcanica © H. Erenler

 

La natura sa superare l’immaginazione e Anthophora squammulosa ne è la dimostrazione. #DarwinDayclicca per twittare

 

Questa specie di api solitarie ha subito una forte frammentazione del proprio habitat nel corso degli ultimi anni a causa dell’impatto dell’uomo.

Ed è così che la landa desolata del complesso vulcanico Masaya in Nicaragua è diventata un piccolo paradiso per questa specie che proprio in quel luogo inospitale ha trovato il modo di vivere, alimentarsi e riprodursi fino a formare una colonia di circa 2000 esemplari.

Come avviene per molte altre specie di api solitarie, le femmine di A. squammulosa scavano i loro nidi nel terreno e, al loro interno, vi depongono le uova e depositano una scorta di polline e nettare per permettere alle larve di crescere e svilupparsi. Di solito tutto questo avviene in un ambiente che non prevede la presenza di magma lavico.

Si, lava.

Non è la prima volta che si osserva una colonia di api nei pressi di un vulcano, ma mentre gli ultimi avvistamenti riguardavano nidi distanti oltre 6 km da un vulcano attivo, questa volta ci troviamo a pochi metri dal cratere.

Ma non è finita.

Il Masaya è un vulcano a scudo (vulcano generato da colate laviche fluide. N.d.r.) alto circa 635 m noto per le sue eruzioni molto frequenti. Una delle peculiarità del Masaya è quella di essere un complesso vulcanico e di possedere quindi diversi crateri. Tra questi il più noto è il cratere Santiago, una delle più grandi sorgenti di diossido di zolfo (SO2) i cui gas acidi creano una kill zone (zona della morte) molto ben definita in cui la vegetazione è assente o fortemente danneggiata ed è proprio in prossimità di questo cratere che è collocata la colonia di A. squammulosa.

cratere santiagoIl cratere Santiago del complesso vulcanico Masaya © Web

Il cratere Santiago del complesso vulcanico Masaya © Web

É noto che il diossido di zolfo, in concentrazioni inferiori a 0,28 ppm (parti per milione), può causare diversi problemi alle api (ritardo nello sviluppo delle larve, abbassamento del tasso di sopravvivenza delle pupe, riduzione della durata della vita degli adulti). Come riescano le api a sopravvivere in prossimità del Santiago, dove le concentrazioni di SO2 oscillano tra 0,79 e 2,73 ppm, è attualmente un mistero.

Aspetta, può andare peggio.

La colonia infatti si trova ad affrontare anche la cenere vulcanica capace di danneggiare le api sia fisicamente sia chimicamente, contaminando polline e nettare. La cenere vulcanica è simile a un insieme di piccoli frammenti di vetro e grazie ad uno studio del ‘75 era stato osservato come le esplosioni di cenere vulcanica fossero capaci di danneggiare gli esoscheletri degli insetti fino a logorarli (Wille, A. & G. Fuentes., 1975).

Io mi sarei arreso alla lava ma A. squammulosa ha fatto di necessità virtù e trasformato tutto questo in un vantaggio.

La prima grande sfida è il reperimento del cibo. All’interno della zona della morte i gas espulsi dal Santiago ricadono a terra sotto forma di pioggia acida che non permette alla vegetazione di crescere o che quantomeno risulta fortemente danneggiata.

Dopo anni di monitoraggio i ricercatori hanno rinvenuto nell’area 14 diverse specie di piante, ma il 99% del polline che viene prelevato da A. squammulosa proviene da una sola specie Melanthera nivea che ha evoluto adattamenti tali da permetterle di tollerare la pioggia acida del vulcano (Johnson, N. & R. A. Parnell., 1986).

 

Una femmina di A. squammulosa su un fiore di Melanthera nivea. La barra indica 1 cm © H. Erenler

Una femmina di A. squammulosa su un fiore di Melanthera nivea. La barra indica 1 cm © H. Erenler

Come molte altre api che costruiscono il loro nido in terra anche A. squammulosa predilige zone con poca vegetazione. Questo avviene perché la crescita delle piante con le loro radici potrebbe compromettere la covata e in questo senso la zona della morte rappresenta una posizione perfetta per il nido.

Al tempo stesso la cenere vulcanica è una novità assoluta nella scelta del substrato adatto alla costruzione del nido da parte di questa specie. Come tutti gli appartenenti al genere Anthophora, A. squammulosa possiede sulle zampe posteriori appendici simili a spazzole. Queste strutture sono molto usate dalle femmine di questa specie per liberare l’entrata del loro nido dalla cenere vulcanica. Il fatto curioso è che questo comportamento è stato osservato solamente nelle popolazioni di A. squammulosa che vivono sul vulcano Masaya e in nessun’altra. Segno di un comportamento acquisito per sopravvivere a questo ambiente.

Ricercatori al lavoro presso il nido di A. squammulosa © H. Erenler

Ricercatori al lavoro presso il nido di A. squammulosa © H. Erenler


Per A. squammulosa l’ambiente vulcanico è certamente ostile, ma lo è anche per i suoi nemici
. I ricercatori hanno infatti rilevato un basso numero di predatori e parassiti per le api solitarie. Oltre ad essere un chiaro vantaggio per la specie, questo è anche un esempio di come possono originare i fenomeni di colonizzazione osservati normalmente in ambienti naturali non estremi.


BIBLIOGRAFIA

  • Hilary E. Erenler, Michael C. Orr, Michael P. Gillman, Bethan R. B. Parkes, Hazel Rymer and Jean-Michel Maes (2016). Persistent nesting by Anthophora Latreille, 1803 (Hymenoptera: Apidae) bees in ash adjacent to an active volcano. BioOne.
  • Wille, A. & G. Fuentes. (1975). Efecto de la ceniza del Volcán Irazú (Costa Rica) en algunos insectos (In Spanish). Revista de Biologia Tropical 23(2):165–175.
  • Johnson, N. & R. A. Parnell. (1986). Composition, distribution and neutralization of ‘acid rain’ derived from Masaya volcano, Nicaragua. Tellus 38B:106–117.
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Ultima modifica il 08 Marzo 2017
Carlo Taccari

Nato a Roma nel 1980, laureato nel 2010 in Biologia Evoluzionistica. Presidente dell'Associazione è fotografo e grafico professionista. Si occupa per “BUONO” degli aspetti relativi alla comunicazione e all’immagine dell’Associazione.