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Scegliamo insieme di guardare al futuro Scegliamo insieme di guardare al futuro © Carlo Taccari / FreakinART.com
NOTIZIE 11 Aprile 2016

REFERENDUM DEL 17 APRILE, per cosa si vota e quali risvolti avrà?

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Il 17 aprile 2016 si terrà in Italia un referendum abrogativo, il 67° della storia repubblicana. Per la materia trattata è stato ribattezzato “il referendum sulle trivelle”, anche se bisognerebbe parlare più precisamente di referendum sulle concessioni a piattaforme estrattive (di gas metano e petrolio) situate in mare entro le 12 miglia dalla costa.

Il quesito su cui gli italiani dovranno esprimersi tocca un aspetto piuttosto limitato nell’ambito delle piattaforme estrattive italiane. I quesiti proposti erano inizialmente sei, tutti formulati da nove Consigli Regionali italiani, ma sono stati bocciati dalla Corte Costituzionale.

Nonostante il carattere limitato che avrà l’impatto di questo referendum, la campagna referendaria ha tirato in ballo temi ben più ampi, arrivando a delineare due grandi schieramenti: i favorevoli alla presenza di piattaforme estrattive al largo dei mari italiani e quelli contrari.

Come vedremo di seguito, in realtà, da questo referendum non dipenderà un “no” o un “sì” alle estrazioni in Italia. Il risultato del referendum, molto limitato in termini pratici, potrebbe però dare una indicazione al governo sulla politica energetica che gli italiani vogliono seguire.

Il quesito referendario del 17 aprile permetterà agli italiani di decidere cosa ne sarà dell’attività estrattiva delle strutture attive in mare entro le 12 miglia dalla linea di costa al termine della concessione. Bisogna innanzitutto dire che in Italia, dal 2006, non possono più essere aperte piattaforme estrattive in questa fascia di mare vicina alla terraferma. Le 92 installazioni attive prima di questa data però, delle quali solo 48 sono attualmente in fase di erogazione, potranno estrarre fino al termine della concessione. Alcune di queste installazioni risalgono agli anni ’70. Le concessioni durano solitamente 30 anni, ma sono prorogabili fino all’esaurimento del giacimento grazie a una recente legge. Se vincerà il “sì” al referendum del 17 aprile, questa proroga non sarà più possibile. Al termine della concessione le piattaforme dovranno chiudere. A questo destino andrebbero incontro un totale di 21 concessioni (48 piattaforme attive), in mano soprattutto alle compagnie ENI e Edison. Come già detto si tratta di strutture estrattive situate entro le 12 miglia dalla costa: quelle situate oltre le 12 miglia o sulla terraferma non verranno toccate da questo referendum.

Se vincesse il “sì”, non ci sarebbe una chiusura immediata delle 48 piattaforme: lo stop all’estrazione avverrebbe nei prossimi anni, man mano che le concessioni scadranno. I tempi di chiusura saranno in realtà molto dilatati. Queste 21 concessioni sono per la maggior parte formate da piattaforme di estrazione di metano, che hanno apportato nel 2015 fra il 2,5 e il 4 per cento del consumo di gas in Italia. Quelle di petrolio hanno soddisfatto invece circa l’1 per cento della domanda italiana.

Il fronte del “sì” ha puntato la sua campagna sull’elevato valore simbolico di questo referendum e sul messaggio politico che darebbe, al di là dei risvolti pratici immediati.

Sarebbe un “no” dell’Italia all’uso del petrolio, un “no” alle trivelle ed un impulso allo sviluppo delle energie rinnovabili.

Al fronte del “sì” aderiscono molti partiti politici ed è stato animato soprattutto dai movimenti ambientalisti, che hanno in certi casi abusato di sensazionalismo in campagna referendaria utilizzando immagini di spiagge imbrattate di petrolio per far leva sull’opinione pubblica. Il loro slogan più frequente è “no triv”, anche se come già detto questo referendum non comporterà la scomparsa delle trivelle in Italia.

Il fronte del “no” ha attaccato la posizione dei movimenti ecologisti accusandoli di ingannare l’elettore: “non è vero che con questo referendum si dice no alle trivelle”, affermano riferendosi alla campagna per il “sì”. I favorevoli al “no” accusano inoltre gli ambientalisti di ipocrisia: in un paese che utilizza ancora in gran parte combustibili fossili, dicono, chiudere delle piattaforme farebbe aumentare le importazioni da paesi terzi, spesso situati in zone del sud del mondo. Infine il fronte del “no” tira in ballo il problema occupazionale.

A queste critiche il fronte del “sì” risponde affermando che l’apporto di metano e petrolio delle piattaforme che chiuderebbero dopo il referendum è minimo rispetto alla domanda, e che sarebbe un incentivo a sforzarsi di più sulle rinnovabili: un settore che creerebbe inoltre nuovi posti di lavoro.

Esiste anche un terzo fronte, quello dell’astensione, alla cui testa si è messo il governo Renzi che ha dato esplicitamente l’indicazione di boicottare il referendum per non far raggiungere il quorum necessario (deve votare almeno il 50% degli aventi diritto al voto). Secondo questo “schieramento” il referendum è inutile, e per questo va fatto naufragare.

Una posizione che ha indignato quanti credono che il referendum, in quanto strumento decisionale della cittadinanza, non dovrebbe essere svilito in questo modo.

Riassumendo si può affermare che il referendum avrà sì uno scarso impatto sulla presenza di piattaforme in Italia -anche se potrebbe comunque portare alla dismissione di quelle situate entro le 12 miglia dalla costa, un totale di 48, nei prossimi vent’anni, ma darà un’indicazione su quale sia la via preferita dagli italiani in tema di politica energetica.

Una vittoria del “sì” vorrebbe dire che gli italiani desiderano un cambio di pagina ed un maggiore impegno del governo per lo sviluppo delle rinnovabili e l’abbandono delle fonti fossili.

Una vittoria del “no”, così come il non raggiungimento del quorum, lascerebbe probabilmente le cose come sono per qualche anno, ma è facile immaginare nuove mobilitazioni “no triv” in un futuro prossimo.

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Ultima modifica il 08 Marzo 2017
Lorenzo Pasqualini

Giornalista freelance, mi sono laureato in Geologia nel 2012 con specializzazione in Idrogeologia. Collaboro da anni per diversi giornali, occupandomi in particolare di Ambiente e Scienze. Vivo in Spagna, dove lavoro come redattore e webmaster per il sito italo-spagnolo El Itagnol.

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